Nato nel cuore di una comunità agricola, il Carnevale di Livemmo è molto più di una festa: è un rito di sovvertimento, dove per pochi giorni si abbandonano le regole quotidiane e si ribalta l’ordine sociale. Dopo la ricorrenza di Sant’Antonio Abate, simbolica chiusura dell’inverno contadino, prende vita un mondo “alla rovescia”: il povero può diventare re, il buffone prendere il posto del saggio, l’uomo e la donna scambiarsi i ruoli. Attraverso il mascheramento, ognuno può uscire dalla propria identità e trasformarsi in altro, sfogando tensioni sociali, frustrazioni e desideri repressi.
Protagoniste assolute sono tre maschere tradizionali:
- la “Vècia del val”: figura femminile caricaturale e sottomessa
- l’“Omahì dal Zèrlo”: il portatore di gerla, simbolo del peso sociale e familiare
- il “Doppio”: incarnazione della contraddizione e del conflitto tra opposti
Intorno a loro ruotano altri personaggi del quotidiano: contadini, anziani amanti, figure satiriche e persino il diavolo rosso con la forca, emblema delle tentazioni e dei desideri proibiti.
Un carnevale popolare, viscerale, autentico
Il Carnevale si svolge per le vie e le piazze del borgo, accompagnato da zufoli, fisarmoniche e danze, raccogliendo in cambio offerte alimentari o in denaro: salame, formaggio, vino, piccoli doni. Il corteo non è solo spettacolo: è memoria collettiva, critica sociale, ironia sulle gerarchie, satira della vita di paese.
Il tutto culmina nella grande cena di Carnevale, momento conclusivo di euforia e condivisione, in cui si torna simbolicamente alla realtà, svestendo le maschere e chiudendo il cerchio del caos rituale.